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Il Covid è il nemico dei giorni nostri, è il “mostro” di oggi, e in questo “vuoto” nelle relazioni interpersonali che la pandemia ha generato “mi sono convinto sempre più della bontà del progetto, anche considerando le distanze che avremmo dovuto sopportare per arrivare alla completa cancellazione di questo mostro. Quindi a maggior ragione mi è sembrato di fornire al pubblico una ricetta di serenità e riempire quel vuoto che una certa solitudine indotta avrebbe procurato un po’ a tutti”. Così Renato Zero nel terzo appuntamento, in tre mesi, con la stampa per illustrare il terzo – appunto – volume di ‘Zerosettanta’, l’ultimo suo lavoro in ordine di tempo.
Allegro e rilassato, Renato ha detto che per lui questo lavoro “è stata una passeggiata e tenuto conto del calendario mi sono fatto onore, e non frequentando palestre nè istituti di rieducazione capirete che ho dato il meglio di me. Quando ho messo insieme i brani dovevo poi mettere ordine nelle sequenze ed accostamenti, così che i tre album fornissero quella scaletta che rallegrava ed anche abbastanza imprevedibile”.
Del periodo pre-Covid “mi manca – confessa l’artista – l’incontro, è l’elemento più mancante, la password che ti apre al mondo e ti dà la possibilità di sentirti padrone della strada, di questo desiderio appagante di conversare, stringere le mani, utilizzare il tavolo di un ristorante o più di una trattoria per fare amicizia, scambiarci emozioni”.
L’inimicizia è invece “una sorta di soddisfazione per quelli che non riescono a raggiungere la vetta ed hanno questo atteggiamento di contrarietà verso altri…”. Renato non manca di sottolineare che la nostalgia “è anche un’ancora, certo non da alimentare ma che in una dose giusta può in qualche modo servire ad accompagnare il percorso e fare i dovuti e necessari confronti con il vivere quotidiano”.
Anche in questo terzo album l’amore è una presenza forte, importante: “Per il solo fatto di utilizzare il mezzo della comunicazione musicale è implicito che questo esercizio venga svolto anche sotto la spinta dell’amore, quello per la musica, per il pubblico”. L’artista sottolinea che “c’è questo odore di tenerezza, di passione”, e queste sensazioni “sono parenti stretti del’amore. Perfino la paura lo è, pensiamo alla paura di una madre per il figlio che esce di casa e pensa alle insidie”.
Se manca l’amore “è difficile anche comunicare, quando si è asettici nell’esprimersi si rischia di creare distanze con gli interlocutori o di non essere compresi perfettamente. L’amore si legge nelle pupille e si riesce ad individuare se la persona è un terreno fertile oppure è ostile, nell’amore c’è la disponibilità, c’è sempre un terreno da scavare”.
E “quando il famoso desiderio cala, avere il coraggio e l’intuizione di trasformare l’amore in un’amicizia altrettanto carezzevole e costante, questo rende la vita meno problematica. Credo che tutto sommato valga la pensa rendere l’amore così duttile”. E tutto questo è espresso in note, in musica nell’album. “Anche un passerotto fa musica, se viene a mancare il rispetto la musica viene a cadere”, non manca di sottolineare Renato.
E parlando degli ultimi, a cui fa riferimento in un brano dell’album, “è un popolo di cui si dice che sia invisibile, ed è vero. Perchè non fanno nulla per essere visibili e perchè sono persone perbene ed educate e non sgomitano come fanno nelle alte sfere. Ho condiviso una parte della mia adolescenza con i romani della periferia”.
Infine i giovani artisti: “Devono percorrere nella musica strade che siano sempre alte e qualificanti, il trascorso dell’Italia ha dato una vitalità senza precedenti, penso a Bindi, Tenco, Modugno, De Andrè, Conte, per fare alcuni esempi. E oggi mi confortano autori come Diodato o Ultimo che tengono alta la melodia”. Quanto a lui, a un possibile ritorno in scena dal vivo, tra il pubblico, Covid permettendo, “mi attengo alle regole, ma fino ad allora continuerò a lavorare”.
“Dobbiamo pensare che questo Natale ci appartiene singolarmente, non c’è bisogno del cenone sfarzoso, dobbiamo mettere in tavola la nostra nudità essenziale che ci rende meravigliosamente leggeri”. Così Renato Zero nel terzo appuntamento, in tre mesi, con la stampa per illustrare il terzo volume di ‘Zerosettanta’, l’ultimo suo lavoro in ordine di tempo. Un passaggio dedicato al Natale perché in tempi di pandemia c’è l’eventualità che tutto, anche le festività, finisca con l’essere compresso.
“Il Natale l’ho vissuto con lo spirito di ricompattarsi e ritrovare quella magia che la festa possiede e trasmette, credo che con poca spesa la si possa ricostituire. è la sospensione dell’umanità verso un rifugio del’anima, dove il silenzio si festeggia. Non gli si fa la guerra ma lo si festeggia. Certo mi mancherebbe assai la funzione religiosa della mezzanotte di Natale se fosse così, perché quello è il momento in cui ringrazio veramente il Padre eterno per le opportunità che ho avuto”. E su Maradona: “Più si è grandi, più si gode di popolarità e più si è soli. La sua solitudine forse è complice della sua morte, della sua dipartita”. L’artista non ha mai avuto modo di conoscere il campione argentino, ma la forte amicizia con Gianni Minà ha fatto sì che alla fine, per quanto ne aveva sentito parlare da lui, è come se il fuoriclasse del calcio “fosse mio cugino. Con tutti i racconti che mi ha fatto Gianni ho imparato ad amarlo e ad apprezzare. Anche se non sono uno ‘stadiolaro’, insomma la mia quota agonistica la manifesto più silenziosamente ma c’è. Credo che tutti gli sportivi piangano ora la scomparsa di un grande”.
Scritto da: Mood Italia Radio
© MOOD ITALIA RADIO - da un'idea di Ninni Ricotta
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